Suburbana Collegno

THE OLD OAK

mercoledì 6 giovedì 7 novembre 2024 - ore 21

Regia: Ken Loach - Sceneggiatura: Paul Laverty - Fotografia: Robbie Ryan - Montaggio: Jonathan Morris - Interpreti: Dave Turner, Ebla Mari, Debbie Honeywood, Chris Gotts, Rob Kirtley, Andy Dawson, Maxie Peters, Lloyd Mullings, Reuben Bainbridge - GB/Francia/Belgio 2023, 113’, Lucky Red.

L’Old Oak è l’unico pub aperto in una ex cittadina mineraria del nord est dell’Inghilterra ed è l’ultimo luogo pubblico in cui le persone possono ritrovarsi. TJ Ballantyne lo tiene in piedi con buona volontà ma rischia di perdere una parte degli avventori affezionati quando nel quartiere vengono accolti alcuni rifugiati siriani. Una di questi è la giovane Yara alla quale viene rotta, con un atto di intolleranza, la macchina fotografica a cui tiene in modo particolare. TJ Ballantyne fa amicizia con lei e, insieme ad altri, cercherà di portare avanti un progetto che prevede l’organizzazione di cene solidali per i residenti meno abbienti. L’iniziativa è osteggiata dalla frangia conservatrice degli abitanti che vede i nuovi arrivati come usurpatori di risorse.

Quello che Loach e Laverty raccontano, attraverso questa storia (…) incredibilmente universale, è vedere come da quarant’anni a questa parte il tessuto sociale si sia disgregato sotto le spinte dell’economia liberista, e parole come comunità e solidarietà si siano sbriciolate anche e soprattutto in quei luoghi dove un tempo erano centrali. (…) Nel film ci sono tutte le realtà dure e assurde della nostra contemporaneità, anche quelle con cui tanti di noi si scontrano tutti i giorni: la guerra (le guerre, anche fra poveri), i problemi economici, le frustrazioni, i dolori privati, l’egoismo e il razzismo di alcuni. Eppure, The Old Oak racconta anche come conservare il barlume della speranza, della vita, sia l’unico modo per andare avanti, e migliorare le cose. Senza mai miracoli irrealistici, tra difficoltà, ostacoli, scetticismi, stanchezze e il sorriso velenoso di chi vorrebbe solo che le cose non cambiassero mai per continuare a lamentarsi, ma con risultati chiari, e possibili. Loach e Laverty ricordano l’orrore e lo scandalo di una guerra, quella in Siria, atroce e colpevolmente dimenticata dall’Occidente e, sebbene non tralascino affatto le problematiche di casa loro, ci ricordano che chi fugge da qualcosa del genere sta comunque peggio di noi, quali che siano le nostre condizioni. Raccontano che attorno a un tavolo, condividendo lo stesso cibo, ci si può conoscere e ci si può comprendere. Chi non vorrà farlo ci sarà sempre, ma una volta stabilito quel legame, sarà difficile farlo spezzare. E se il legame non si spezza, se la comunità è ricostruita, per il futuro c’è speranza. E questa volta, alle tematiche di cui abbiamo sempre più bisogno, i due associano un cinema semplice, limpido, pulito, equilibrato e realistico nel mostrare le luci e le ombre, i guai e le sorprese positive. Senza mai insistere troppo, in un caso come nell’altro, sapendo sempre quando è il caso di allontanare la macchina da presa, di far tacere qualche personaggio, lasciando che negli spazi lasciati liberi sia la nostra partecipazione, e la nostra commozione, a farsi avanti prepotente. (Federico Gironi, www.comingsoon.it)

“La speranza è una questione politica - ha spiegato il regista presentando il film -. Se la gente confida di cambiare le cose va a sinistra, altrimenti è preda del cinismo, della disperazione. E passa a destra”. Forte di questa consapevolezza, il maestro inglese costruisce l’ennesima parabola sociale, (…) con quel mix di schematismo, semplicità e lucido realismo che l’ha sempre contraddistinto. Coerente, piano, ma mai sciatto. (Claudio Fabretti, www.ondacinema.it)